Dino Tiezzi
Civitella in Val di Chiana
- Un presidio sul territorio
- Un luogo di importanti avvenimenti storici
- Una sede medioevale di dotta curialità vescovile, dove si sviluppò una notevole attività di cultura
giuridico-amministrativa.
Arroccata in posizione dominante, circondata da possenti cinte murarie, Civitella colpisce
l’immaginazione come luogo pensato e strutturato per la difesa e il controllo del territorio.
Non fu però solo quello militare il ruolo che Civitella giocò nelle locali vicende medioevali.
Proprietà ed anche residenza, fin dall’XI secolo dei vescovi di Arezzo, per cui prese il nome di
"Civitella del Vescovo", fu destinata dai vescovi-conti che ne detenevano il potere, ad esercitare una
funzione culturale di grande rilievo.
In Civitella si tengono processi, famoso quello che si svolge qui sotto l’egida del cardinale
Laborante inviato dal pontefice Alessandro III per tentare di dirimere la controversia sorta fra il
vescovo di Arezzo Eliotto e il vescovo Gunteramo di Siena in merito alla aggiudicazione di diciotto
pievi e tre monasteri situati ai confini delle due diocesi; inchiesta processuale che impegnò giuristi e
lo stesso cardinale per più di tre anni senza peraltro giungere ad una conclusione.
Da Civitella partono scomuniche, specialmente durante il vescovato di Guglielmino degli Ubertini (
1248-1289 ), autorizzato ad esercitare questa funzione da papa Innocenzo IV; da qui vengono emanati
decreti che hanno una diretta influenza sulla vita politica di Arezzo, come quello del 1250 con cui
Guglielmino degli Ubertini unifica il capitolo della Pieve di Santa Maria con quello della cattedrale di
San Pietro Maggiore.
Ma è la " Pace di Civitella " che ci permette una valutazione completa di quanto fosse intensa
l’attività politico-culturale di questo fortilizio.
Artefice di questa pace fu il vescovo Ildobrandino dei conti Guidi elevato alla cattedra di San Donato
nel settembre 1289, dopo la morte a Campaldino di Guglielmino. Venne consacrato da papa Niccolò
IV ed ebbe dal pontefice l’incarico di portare la pace in Romagna.
Ildobrandino ci riuscì e, ritornato ad Arezzo, abitò quasi sempre nel suo castello di Civitella.
Qui accolse onorevolmente frate Niccolò vescovo di Butrinto e Pandolfo Savelli notaio apostolico,
ambasciatori dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo.
Il castello di Civitella divenne "Camera Imperiale"; messi e legati si portarono, durante mesi e mesi di
lavoro, da qui in località più o meno limitrofe per trattare con i potentati i preliminari della pace.
Si aprì nel palazzo vescovile di Civitella tribunale per far giurare fedeltà ai comuni e magnati di
Cortona, Borgo San Sepolcro, Montepulciano, Monte San Savino, Lucignano, Chiusi, Città della
Pieve e molti altri luoghi della Toscana minacciando strage e sterminio ai contumaci.
Sappiamo che cinquecento fra guelfi e ghibellini del centro Italia giurarono fedeltà ad Arrigo VII di
Lussemburgo facendo maturare il grande evento della politica del tempo che è passato alla storia
appunto con l’appellativo di "Pace di Civitella"
L’atto,complesso e articolato, è redatto il 26 marzo 1311 in Civitella; queste le clausole principali in
esso contenute : il contratto di convivenza fra guelfi e ghibellini, l’atto di morte delle fazioni "verde" e
"secca"e il patto di reciproca lealtà fra la famiglie dei Bostoli e dei Tarlati .
Per esercitare le attività che abbiamo sommariamente accennato non potevano non essere presenti
in Civitella persone intellettualmente dotate e acculturate in saperi diversi; non poteva non essere
presente sul posto un indispensabile apparato documentale fatto di manoscritti contenenti norme di
diritto comune, canonico, ecclesiastico, trattati di morale, di patristica, copie di bolle papali, di editti
imperiali, di decreti vescovili.
Ed è in questo ambiente di eccellente curialità che probabilmente poté addottorarsi Magister
Rainerio da Civitella, divenuto poi docente di medicina e di materie giuridiche nell’antica università di
Arezzo.
Dino Tiezzi
Civitella
Dopo l’anno 1000, alla notevole ripresa che si registra nelle attività economiche, commerciali e
artigianali, corrisponde un rinnovato interesse per gli studi.
Le invasioni barbariche ed in particolare la dominazione longobarda che in Toscana si protrae per
vari secoli prima del 1000, avevano relegato gli studi nelle scuole episcopali dove si conservava la
tradizione della lingua latina e la passione per la ricerca e la conservazione dei documenti.
In Arezzo è il vescovo Elemperto ( 986 – 1010 ), di origine germanica, a incrementare la ripresa degli
studi, riservando, nella ristrutturazione della cattedrale di S. Stefano e S. Maria, ampi locali per la
scuola ecclesiastica. Il suo esempio fu seguito da Adalberto ( 1014 – 1023 ), anche lui tedesco, che
con l’architetto Maginardo avvia la costruzione del tempio di S. Donato al Pionta ( tempio che verrà
poi distrutto nel 1561 per ordine di Cosimo I dei Medici ).
Ed è con il vescovo Teodaldo ( 1023 – 1036 ) che ad Arezzo viene ospitato il geniale monaco
benedettino Guido, profugo dal monastero di Pomposa, che, nella scuola episcopale, elaborò la
riforma per la scrittura e l’insegnamento della musica dedicando al vescovo che l’aveva ospitato il
suo " Micrologus sive de arte musica ".
Abbiamo fatto questa breve premessa perché ci è sembrato importante accennare al clima di fervore
intellettuale che precede la nascita dell’antica università aretina.
Una delle leve più importanti nel rinnovato interesse agli studi è la riscoperta del diritto romano nella
formulazione Giustinianea del Digesto e delle Pandette. E veniamo al primo collegamento che
incontriamo, in questa vicenda storica, con il nostro paese. Infatti il vescovo aretino Immone ( 1024 –
1039 ), chiamato anche Irenfrido, appartenente al clero germanico di Worms, membro della curia
imperiale e cappellano dell’imperatore Corrado II, dette in Civitella, già a quel tempo proprietà
episcopale, sentenza, assieme ai giudici Giovanni
Ottone e Vidone, dopo avere ascoltato le querele di Enrico abate del monastero di Santa Fiora,
contro Alberto di Raneiro che aveva usurpato allo stesso monastero la metà di un podere. Nella
sentenza vengono citati passi delle Pandette.
Inoltre, nella seconda metà del XII secolo, si riaccende, fra il vescovo Gunteramo di Siena e il
vescovo Eliotto ( 1176 – 1186 ) di Arezzo, una secolare disputa in merito ad alcune terre e pievi poste
ai confini delle due diocesi ( per inciso il vescovo Eliotto, secondo molti studiosi, altri non è che il
Magister Heliottos, canonico di Santa Maria della Pieve, menzionato in un documento del 1163 ).
Si apre nel castello di Civitella un tribunale per tentare dirimere la controversia. Il Pontefice
Alessandro III, con lo scopo di porre fine alla secolare, dispendiosa e poco edificante lotta fra i
vescovi di Siena e di Arezzo, dette incarico al Cardinale Laborante di svolgere una lunga inchiesta
che si protrasse negli anni 1177 – 1180.
Delle numerose deposizioni raccolte, ne rimangono 86, tuttora conservate nell’Archivio Capitolare
del Duomo di Arezzo che restano un documento senza pari per capire quanto gli istituti di diritto
romano sono ormai rientrati nella prassi giuridica del tempo.
Probabilmente il Pontefice Alessandro III, fra l’altro senese, non emise una sua bolla conclusiva
all’attività processuale svoltasi in Civitella.
Sarà Papa Onorio III, nel 1220, ad aggiudicare le contestate 18 pievi e 3 monasteri al vescovo Martino
di Arezzo.
Il vescovo Eliotto morì nel 1186 in Civitella. Il suo corpo resterà tre giorni nel castello per timore dei
longobardi che avevano un importante insediamento nella vicina Durna. La salma fu infine
trasportata ad Arezzo. Il clero e il popolo si recarono ad accoglierla al torrente Sella.
Fu inumata al Pionta fra la porta e il campanile del tempio di S.Donato.
Questi documenti e molti altri ci danno la tangibile testimonianza di una fortissima ripresa negli studi
del diritto che non si limita più all’ambito della chiesa ma comincia anche ad interessare i laici. Infatti
la licentia docendi rilasciata dall’autorità ecclesiastica, una particolare prerogativa questa che si
protrarrà ancora per qualche secolo, viene concessa, sempre più frequentemente, a soggetti non
appartenenti alla gerarchia del clero.
Cominciano così a nascere scuole private tenute da ecclesiastici ma anche da laici muniti di licenza
d’insegnamento.
Probabilmente, intorno ai primi anni del 1200, si avverte la necessità di un qualche collegamento fra
le scuole private, nel frattempo proliferate, di una loro strutturazione e istituzionalizzazione che si
concretizza in una attività collettiva di studio.
Nasce lo Studium Generale, organismo complesso che vede, da una parte i diritti e i doveri dei
magistri, dall’altra quelli degli scolares.
E quando nel 1215 il grande giurista Roffredo Epifanio da Benevento, lascia con altri docenti e alunni
Bologna per venire ad insegnare ad Arezzo, trova un ambiente culturalmente evoluto e con una
organizzazione universitaria già avviata.
Chiama Arezzo curialissima e nobilissima e nei due anni della sua permanenza in città, è per lui facile
aggiornare i sistemi d’insegnamento sulla scorta delle esperienze che si portava da Bologna.
Comincia una stagione luminosa per lo Studium Generale una stagione che durerà per tutto il 1200
fino ai primi del 1300 e che troverà generale apprezzamento in Arezzo.
I suoi insegnanti, stimati e rispettati, verranno coinvolti negli affari pubblici della città e così il
Magister Petrus, iuris professor, lo troviamo in un documento del tempo come primo teste
sottoscrivente la convenzione fra il Comune e i canonici della Pieve per la restituzione dei castelli di
Tegoleto e Arbonoro, precedentemente e illegittimamente usurpati dallo stesso Comune di Arezzo.
Grazie a questa prassi di coinvolgimento, veniamo anche a conoscenza del quartiere della città dove
aveva sede l’Università.
Infatti nel 1236 Ugolino, nipote del Magister phisicus Guido, è in causa con l’abate di Santa Fiora per
rinnovo dei livelli delle case degli studenti presso la chiesa di San Pier Piccolo, mentre nel 1241,
Magister Benrecevuto, grammatico, stipula un nuovo contratto d’affitto con l’Abate di Santa Fiora per
i locali da destinare a scuola, sempre a ridosso della chiesa di San Pier Piccolo. Quindi la sede
dell'’università si trovava fra Via Cesalpino, dov’è la chiesa di San Pier Piccolo, Via Alberghotti e Via
Bicchieraia.
Gli statuti non fanno altro che ufficializzare le regole che i Magistri si erano precedentemente date
per il migliore funzionamento degli studi.
L’atto è redatto, come già detto, il 16 febbraio del 1255, nel palazzo comunale sede del Podestà, al
tempo Borro de’ Borri, chiamato da Milano e costretto nello stesso anno a rifugiarsi nel castello del
Borro in Valdarno causa una ripresa della lotta fra Guelfi e Ghibellini. Lo rappresenta nel documento
il giudice Giovanni.
E’ il tempo del pontificato di Papa Alessandro IV ( 1254 – 1261 ), Vescovo di Arezzo è Guglielmino
degli Ubertini ma in rappresentanza dell’autorità religiosa è presente prete Rainerio, cappellano del
Duomo Vecchio, mentre Bonavere è in rappresentanza degli studenti quale loro Bedellus.
Redige l’atto il notaio Pietro del fu Sopornello e il documento porta sulla sinistra il suo pubblico
sigillo.
Nel momento della pubblicazione degli statuti le discipline insegnate erano quattro : diritto civile,
diritto canonico, le arti suddivise nelle branche della grammatica, retorica e dialettica, medicina.
I professori, detti Magistri, erano otto; agli insegnanti di diritto, materie ritenute più importanti, era
attribuito anche il titolo di Dominus.
Il Rettore, che aveva la responsabilità della regolare riscossione delle rette e del buon funzionamento
degli insegnamenti, veniva eletto ogni due mesi. All’approvazione degli statuti, questa carica è
prerogativa di Martino da Fano che assieme a Roizello insegna diritto civile.
Bonaguida e un Rainerio, non meglio identificato, insegnano diritto canonico .
Non ci addentreremo nell’analisi particolareggiata degli " Ordinamenta", compito arduo, sul quale si
sono affaticati gli specialisti del settore.
Ricorderemo sommariamente i principali argomenti recepiti negli statuti:
a) Disposizioni sul Rettore e il tempo di carica del rettorato
b) Disposizioni sui Magistri : sui loro diritti al compenso, sui loro doveri reciproci e sugli obblighi
verso il Rettore
c) Disposizioni sui ripetitori e sugli insegnamenti privi di valido titolo di docenza
d) Disposizioni sugli scolari e sul " Bedellus" degli scolari
e) Disposizioni sugli alloggi
E veniamo all’argomento che è oggetto di questa specifica ricerca incentrata sulla figura e sull’opera
del Magister Rainerio
Da notare che un Rainerio l’abbiamo incontrato negli "Ordinamenta" come insegnante di diritto
canonico e con gli attributi di Magister Dominus.
Lo storico tedesco Robert Davidsohn nella sua " Geschichte von Florenz " identifica il Rainerio degli
Statuti con l’autore dell’Ars Tabellionatus. Allo storico tedesco viene giustamente obiettato che i
professori di diritto si fregiavano del titolo di Dominus mentre nella prefazione che Rainerio da
Civitella fa alla sua Ars Tabellionatus, si qualifica come phisicus et notarius.
E’ doveroso però riconoscere al Davidsohn di avere, nella sua capillare ricerca sulle fonti, dato per
primo indicazioni su Rainerio e sulla sua opera.
I manoscritti indagati dal Davidsohn contenenti, non solo l’opera scritta da Rainerio " ARS
TABELLIONATUS", ma anche la presentazione che l’autore fa di questa sua fatica, entrarono in
possesso di un collezionista straniero Horace Landau verso la fine del 1800 e alla sua morte l’intera
biblioteca di antiche carte da lui raccolta passò in proprietà del Comune di Firenze.
Alla fine della seconda guerra mondiale il Comune l’assegnò in deposito alla Biblioteca Nazionale di
Firenze dove tuttora si trova con le seguenti indicazioni : MS Landau – Finaly 2453-54.
Ma che cos’è l’Ars Tabellionatus. E’ un importante repertorio di atti giuridici che si riallacciano ormai
decisamente alla gloriosa tradizione del diritto romano.
Rainerio la utilizzò probabilmente nel suo insegnamento agli studenti, ma l’opera andò ben al di là
dei suoi intendimenti di docente ed ebbe una fortuna che si protrasse per molti secoli dopo la morte
del suo autore.
Scrive Infatti Giovanni Romanelli, " In seno alla facoltà di diritto nascono libri di formule di cui i notai
si sono serviti costantemente fino al 1700 per lo schema dei documenti da stilare .
Il più famoso di questi formulari è scritto da Ranieri da Civitella, medico e docente dell’Università di
Arezzo, che compose, nel 1272 l’Ars Tabellionatus".
Ma come abbiamo fatto a sapere che Rainerio fu nostro antico concittadino?
Le indicazioni precise sulla sua persona e sulla sua civitellinità ce le fornisce lo stesso Rainerio nella
prefazione al suo lavoro, al fol.19r della raccolta della Nazionale di Firenze : " Ego Rainerius phisicus
ac notarius, a convictu aretinus, quamquam natione civitellensis …………"
A mio parere la frase latina non va tradotta come la interpreta la Wierusowshi (pag.16) e come ripete
Fabbrini (pag.49), nel senso che Rainerio si sentisse come un "aretino di adozione". Ritengo invece
che ci abbia voluto dire che, pur vivendo "a convictu", nella comunità dello Studium Generale
Aretino fra i docenti e gli studenti, "quamquam", (sebbene, per quanto) aggiunge subito, io sono
civitellino "natione civitellensis" (natione nel senso strettamente etimologico del termine come luogo
di nascita), quindi un’affermazione orgogliosa di essere nato a Civitella.
E orgoglioso Rainerio è anche del proprio lavoro di docente di medicina"phisicus" e di arte notarile
ed è anche fiero del ruolo influente che tali esperti di diritto svolgevano come consulenti o estensori
d’importanti documenti.
Dice la Wierusowshi (pag.23) che lo stesso Martino da Fano abbia insegnato questa disciplina
durante la sua permanenza ad Arezzo e "la supposizione perciò che Arezzo, dopo il 1240, divenisse
un centro di specializzazione per notai non è affatto azzardata; anzi è suggerita dal gran numero dei
componenti la corporazione dei notai e dal prestigio che godette negli affari pubblici della città".
Sarà questa un’ipotesi ampiamente confermata da un’attenta analisi portata avanti sui documenti
notarili dei primi secoli dopo il 1000 dalla ricercatrice Giovanna Nicolaj Petronio; in questa verifica
comparativa, molto ampia e articolata, gli atti notarili dell’aretino appaiono eccellenti per eleganza di
stile, precisione terminologica, chiarezza concettuale.
Secondo la Wierusowshi ciò è dovuto anche al fatto che nello Studium Aretino non venne mai meno
l’interesse per le "litterae" o arti (grammatica, retorica, dialettica), anzi questo insegnamento toccò
con magister Bonfiglio vertici altissimi.
Intorno al 1260 ad Arezzo arrivò Mino dal Colle, geniale maestro vagante, ghibellino irrequieto, alla
continua ricerca di nuovi luoghi da scoprire.
Fu notaio e insegnò arte dello scrivere lasciandoci numerosi esempi di "epistulae" compilate per
soddisfare nuove esigenze sentite come tali da lui stesso e da molti altri uomini del suo tempo.
Scrive ancora la Wierusowshi (pag.38) "non può essere pienamente provato, ma sembra quasi certo
presumere che fu spinto a compilare tali raccolte ad Arezzo, per la prima volta. Siccome fu notaio
egli stesso, può essersi unito all’associazione dei notari della città ed essere venuto a contatto con
Rainerio di Civitella, medico – notaio che insegnò nello studium aretino. E, continua la Wierusowshi,
"nella sua Ars Tabellionatus, Rainerio mostrò come fossero apprezzabili i servigi resi dai notari nei
consigli dei principi e delle città e mise in guardia quelli che praticavano la professione, affinché non
cadessero dalla loro posizione negli abissi, per avere commesso crimini".
A questo punto non può mancare un rilievo di grande interesse!
Rainerio è contemporaneo del vescovo Guglielmino degli Ubertini che resse le sorti della diocesi
aretina dal 1248 al 1289. Fu nominato vescovo nel 1245 ed eletto alla cattedra di San Donato appunto
nel 1248, succedendo al vescovo Marcellino impiccato presso Parma il 16 febbraio dello stesso anno
per ordine di Federico II.
Grande personaggio, uomo di azione, dotato di eccezionale fiuto politico, Guglielmino seppe
muoversi con destrezza e grandi capacità di intuizione in una società divisa dalle fazioni e lacerata
dalle faide.
Fu forse qualche volta spregiudicato, ma tenne sempre fermo l’obbiettivo della difesa e della
grandezza della chiesa aretina.
Non fu amato da tutti; un poeta come Guittone di Arezzo e il Magister Bonfiglio, insegnante di
"litterae" nella università aretina ( Tafi pag.75), lo criticarono aspramente, fino all’insulto. Ma furono
ingiusti nei confronti di un uomo che per il bene di Arezzo cadrà combattendo a Campaldino nella
storica battaglia del 1289 contro i fiorentini. (vedi Nencini-Campaldino)
Guglielmino è profondamente legato al suo castello-fortezza di Civitella, è qui che si sente sicuro nei
momenti più turbolenti delle lotte intestine fra le fazioni aretine. Molti gli atti che risultano da lui
emanati da Civitella, compreso il decreto con cui unisce il capitolo della Pieve di Santa Maria con
quello della cattedrale di San Pietro Maggiore (l’interpretazione di tale documento ha suscitato
diatribe e polemiche a non finire fra i canonici dei due capitoli conclusesi, da non molto tempo, con
un provvedimento del vescovo Telesforo Cioli).
E quando nel 1252, il podestà di Arezzo Aldobrandino Cacciaconti gli distrugge il castello (vedi
Pasqui), dopo qualche anno avvia l’opera di ricostruzione. Ci dice G. Romanelli (pagg. 98-99) "di
alcuni castelli rimane memoria solo nella toponomastica, di altri sono ancora visibili ruderi, come a
Civitella, un tempo residenza dei vescovi di Arezzo. Di questo castello e delle sue mura esiste una
sufficiente documentazione che ci permette di datarlo e di saper che Guglielmino rifece la cerchia
muraria e le volte di due torri; il lavoro fu diretto ed eseguito dal capomastro Luthy di Civitella.
Questa documentazione è piuttosto importante, continua Romanelli, perché ci permette di datare altri
castelli che presentano affinità volumetriche e comuni elementi architettonici con quello di Civitella".
Pur non potendolo provare è, a questo punto abbastanza plausibile, pensare che fra Magister
Rainerio, orgogliosamente definitosi civitellino e il Vescovo Guglielmino degli Ubertini, che tanto
teneva alla sua rocca , si sia stabilito, per i confluenti sentimenti di simpatia che legavano questi due
personaggi a Civitella, un rapporto di collaborazione che coinvolgeva Rainerio a prestare la sua
sapiente penna e la consolidata arte notarile per la stesura dei provvedimenti che il vescovo
emanava dal suo fortilizio.
Il rissoso clima politico, portò spesso ad un’interruzione dell’attività didattica nell’università aretina,
ripresa poi sempre con qualche difficoltà perché, nel frattempo, insegnanti e studenti avevano
lasciato la città.
Un momento di tregua in queste lotte intestine si ha con la famosa "Pace di Civitella".
Artefice di questa pace fu il vescovo Ildobrandino dei conti Guidi eletto nel settembre del 1289, dopo
la morte di Guglielmino. Venne consacrato da Papa Niccolò IV ed ebbe dal Pontefice l’incarico di
riportare la pace in Romagna. Ildobrandino ci riuscì ( Tafi pag.82) e, ritornato ad Arezzo, abitò quasi
sempre nel suo castello di Civitella (Paturzo pag.325).
Qui accoglie onorevolmente frate Niccolò vescovo di Butrinto e Pandolfo Savelli, notaio apostolico
ambasciatori dell’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo.
Il castello di Civitella divenne Camera Imperiale, da dove messi e legati si portavano nelle terre vicine
per trattare con i potentati i preliminari della pace.
Si apre nel palazzo vescovile di Civitella tribunale per far giurare fedeltà ai comuni e magnati di
Cortona, Borgo Sansepolcro, Montepulciano, Monte San Savino, Lucignano, Chiusi, Città della Pieve
e molti altri luoghi della Toscana minacciando strage e sterminio ai contumaci. Sappiamo che
cinquecento fra guelfi e ghibellini del centro Italia, giurarono fedeltà ad Arrigo VII di Lussemburgo
facendo maturare il grande evento della politica aretina : la cosiddetta "Pace di Civitella".
E. Droandi così commenta l’evento (pag.58) : " L’atto è redatto il 26 marzo del 1311 nel grandioso
palazzo-castello di Civitella.
L’artefice politico e morale del patto è il pio e pacifico Ildobrandino che esercitò il potere con la
massima cautela.
Nel solenne castello si formulano le clausole : l’atto di morte delle fazioni "verde" e "secca", il patto
di lealtà fra le famiglie di Bostoli e Tarlati, il contratto di convivenza fra Guelfi e Ghibellini.
E’ presente all’atto l’intera schiera dei Tarlati, compreso Guido Tarlati, arciprete della Pieve, che alla
morte di Ildobrandino dei conti Guidi, nel 1312, diventerà vescovo di Arezzo, instaurando una
stagione di potere della famiglia.
Questa pace portò ad una tregua e permise all’Università di Arezzo di protrarre il suo momento di
splendore fino alla fine del XIV secolo nonostante il fatto che nel 1321 si fosse ufficialmente aperto lo
Studium di Firenze.
Il declino comincia ai primi del 1400, non solo per il proliferare di altre università in Toscana, ma
anche per l’atteggiamento di Firenze molto penalizzante verso la città di Arezzo. In aiuto
dell’università interverrà direttamente il Comune, la Fraternita dei Laici con finanziamenti e
sovvenzioni.
Verranno abbassati i costi delle rette, agevolata l’ospitalità di studenti e docenti, ridotta la tassa per
la laurea; ma la crisi, pur lenta, sembra ormai inarrestabile.
Questo periodo, attentamente studiato dal Prof. Robert Black, ci dimostra quanto prestigio lo
Studium aretino avesse acquisito nei primi secoli della sua feconda fioritura tanto da richiamare,
ancora studenti stranieri in Arezzo. In un certo periodo del quattrocento di 69 laureandi 35 erano
fiorentini, 6 provenivano dalla Toscana : Pistoia , San Gimignano, Prato; 9 da altre parti d’Italia :
Ancona, Napoli, Faenza, Perugia, Spoleto; 9 da paesi stranieri : uno dalla Ungheria, due dalla
Germania, uno dai Paesi Bassi e cinque dai territori catalani della Spagna.
Gli statuti dell’università del 1512, conservati nell’Archivio di Stato di Arezzo, sono probabilmente
l’ultimo atto ufficiale di una attività culturale della città che avrebbe meritato un migliore futuro.
Mi sia permesso un ultimo rilievo, dato il taglio che ho inteso dare a questa mia breve e imperfetta
sintesi sulla storia dell’ antica università aretina, incentrandola su quelle particolarità che la
collegano con il territorio del nostro Comune.
Nelle lauree conferite dallo studio aretino negli anni 1452-1493, per la legge civile, troviamo un
docente, Messer Giovanni di Cristoforo da Oliveto di Arezzo ( Black pag.146 ) che secondo Fabbrini
(pag.53 ) era particolarmente esperto negli istituti di Giustiniano.