Ricordi della Suora Maria Pierina Acitelli nell estate del 1944 a Civitella

 

I MIEI RICORDI SULLA TRISTE ESPERIENZA PASSATA A CIVITELLA DELLA CHIANA NEL PERIODO DELL'ECCIDIO: ANNO 1944

 

Suor Maria Pierina Acitelli

Testimonianza di Suor Maria Pierina Acitelli.pdf (168,2 kB)

 

Nell'anno 1928 le prime suore Passioniste arrivarono a CIVITELLA da Signa, culla della Congregazione, per mettersi a servizio dei fratelli di questa località, nelle forme di assistenza a loro richieste, con i malati del piccolo ospedale, i vecchini della Casa di Riposo e con i piccoli della "Scuola Materna".

Il programma di questo servizio lo svolgeranno nel modo specifico che la loro vocazione passionista richiede, vedendo sempre nei fratelli le membra sofferenti del Corpo Crocifisso del Cristo.

Proprio per essere fedeli a questo impegno preso si volle rimanere sul campo di lavoro anche quando la prudenza umana e la paura avrebbero suggerito di lasciare i poveri vecchini e gli ammalati,che distesi nei loro lettucci di dolore,seguivano le tristi vicende dei loro cari e della nostra Italia martoriata e insanguinata in barbari eccidi, come presto avrebbero provato nelle loro stesse carni.

Da circa due anni dai miei Rev. Superiori fui inviata a Civitella. Il viaggio non fu lungo: Firenze-Arezzo; da qui un trenino mi portò a Badia al Pino. Mi accompagnò una consorella pratica del posto. Da quest'ultima stazioncina con una specie di pulmino ci condussero a Civitella, fermandoci in una piccola piazza in fondo al paese. Dalla strada principale, dove si sentiva odore di pulito e di fiori variopinti che scendevano dalle finestre e balconi, si arrivò al Centro storico,consistente in una piazza abbastanza grande. Guardando a destra, in alto, al centro della piazza la bellissima Chiesa parrocchiale, con la sua Canonica; alla sua destra la Scuola Materna, che doveva essere il mio centro di attività educativa e di apostolato, con la gioventù e adolescenti del posto. Negli stessi locali c'era l'Ufficio Postale. Dalla Chiesa, guardando in avanti, non credo di esagerare nel dire che ebbi impressione di trovarmi davanti ad una meravigliosa "Perla cittadina" incastonata alla sommità del colle, emanante anche qui odore di fiori e di tanta pulizia.

La stagione era propizia per l inizio dell'anno scolastico.

Scendendo la piazza, inizia la via .Del  Centro storico, da una strada abbastanza larga. Alla sua destra un ampio e lungo loggiato, sotto i quali sono gli ambienti della Scuola Elementare, Circolo ricreativo, gli Uffici del Comune. Il resto abitazioni di famiglie qualificate, che si, estendevano fino a Piazza Becattini. Alla sinistra della strada, altra fila di abitazioni parallele all'altra che finisce alla medesima piazza, dove è la sede dell'Ospedale Becattini e della Casa di Riposo intitolata "Casa S. Cuore di Gesù" dove nel 1928 arrivarono le prime Suore Passioniste con le diverse mansioni da svolgere.

La  maestosa Torre medievale si ergeva superba quasi per difendere e proteggere gli abitanti della cittadina. Ma per moltissimi purtroppo non fu così. L'Ospedale Becattini è il Centro, si direbbe oggi, Socio-Sanitario di tutti gli abitanti della cittadina e di tutta la zona che in qualsiasibisogno convergevano qui. L'Ospedale aveva i requisiti necessari per affrontare questo delicato compito. Diversi medici specializzati facevano turni di assistenza ai malati. La Suora infermiera, Sr. Giacomina Trovato,collaborata dal personale, era all'altezza di gestire la Farmacia, ben fornita del necessario, e seguiva i malati e ricoverati in ogni bisogno.

Il Presidente dell'Ospedale Signor Luigi Lammioni, nonostante gli impegni di lavoro che aveva in Comune, spesso faceva le sue ordinarie visite, interessandosi dei ricoverati e provvedere a quanto i medici ritenevano necessario per l'alimentazione e il buon andamento dell'Ospedale e per il rifornimento dei medicinali. Era una persona esemplare,sempre sereno e disponibile per ogni necessità. Visitava Sr. Flora in cucina,rendendosi conto se c'era qualcosa da ordinare ed insieme a loro e alla superiora Sr. Angelina faceva la nota dei rifornimenti da farsi.

Civitella era davvero una piccola cittadina,dove nulla mancava. Anche il turista trovava cordiale accoglienza e cucina da buon gustai,per una breve o lunga soste nell' albergo "Magini", che era molto frequentato, bene attrezzato da poter fare concorrenza, per quei tempi,a quelli di città.

Le diverse borgate adiacenti, appartenenti allo stesso Comune, convergevano a questo piccolo centro per fare gli acquisti di ogni genere,che trovavano a volontà nei suoi negozi ben forniti.

La sua ospitalità era tale da mettere subito a suo agio chiunque l andava a visitare o la sceglieva per un breve o lungo soggiorno, o, come la sottoscritta, che con entusiasmo giovanile non fece fatica a inserirsi nell'ambiente per darsi all'educazione religiosa, civile e morale dell'infanzia, nella Scuola Materna. Ma non si fermò lì la sua missione, nei limiti del possibile e nell'obbedienza ai suoi Superiori doveva allargarsi a tutti, collaborando così col degnissimo Arciprete Don Alcide Lazzeri, nell'animare le dirigenti dell'Azione Cattolica a svolgere i programmi per la propria formazione e per quella delle sezioni minori stabilite dal Centro Diocesano. Primeggiava la Catechesi e molte di esse ogni anno le accompagnavo al Centro Diocesano per gli esami, e con voti ottimi ricevevano il diploma, con soddisfazione dell' Arciprete e delle catechiste, tornando a casa con tanta gioia per i familiari. Il Rev. Arciprete ne era orgoglioso ed insieme a lui si programmava il nuovo anno sociale.

Per l'onomastico dell'Arciprete, per le feste natalizie, nel peri:odo di carnevale, nei "saggi" a chiusura dell' anno scolastico della Scuola Materna, per le altre circostanze che si presentavano, la gioventù dava il suo prezioso apporto personale nell'aiutarmi a preparare  i piccoli per danze, scenette, esercizi ginnici, che lodevolmente eseguivano con tanta soddisfazione dei parenti e della popolazione.

Anche le giovani si esibivano con competente disinvoltura a rappresentare drammi commedie, scenette musicate a sfondo religioso, augurale, comico, sempre con sfondo educativo.

Il teatrino della Scuola Materna era insufficiente per contenere tutta la popolazione di Civitella e dei villaggi d'intorno, che a flotte venivano; quindi non bastava fare le rappresentazioni una volta sola, ma bisognava ripeterle due o tre volte per dare soddisfazione a tutti. Il povero e caro Arciprete ci godeva tanto.

La preparazione, come si può ben capire, era di una grande fatica,anche per la lontananza dalla casa delle Suore alla Scuola Materna, ma la buona riuscita di tutto faceva dimenticare i sacrifici fatti e si cominciava a pensare alle prossime ricorrenze.

Chi può dimenticare come veniva animata la S. Messa domenicale, e particolarmente nelle Solennità dell'anno liturgico? Don Bruno, un bravo Sacerdote di Arezzo, spesso veniva a Civitella per insegnare i canti alla gioventù, che nelle suddette festività davano alla S. Messa un tono solenne da …. Cattedrale!

Cosa dire del carissimo Arciprete Don Alcide Lazzeri? Con la sua voce robusta e melodiosa insieme, durante la S. Messa, negli spazi consentiti, si univa al coro, e insieme a lui tutto il popolo cantava e lodava Dio nella maniera più bella ed a Lui gradita.

Questa era la gioventù di Civitella; questo il popolo profondamente cristiano di Civitella che rispondeva,con entusiasmo alle iniziative del loro zelante pastore. Questo era l'amato e stimato Arciprete Don Alcide Lazzeri, ma il suo grande amore a Dio e al suo popolo lo manifestò al momento della prova suprema il 29 Giugno 1944, festa di S.S.P1etro e Paolo.

E così, in quella triste mattina, mentre una delle quattro suore, l'infermiera Suor Giacomina Trovato, era a letto, provata dalla malattia, la superiora Suor Angelina Cardella, Suor Flora Di Marco e la sottoscritta Suor Maria Pierina Acitelli eravamo nella Chiesa parrocchiale,unite in fraterna e fervorosa preghiera al nostro pastore, l'Arciprete Don Alcide Lazzeri e ai fratelli di Civitella, sorreggendoci a vicenda nella fiducia in Colui che solo poteva salvarci nell'imminente pericolo.

Io personalmente, Sr. M. Pierina Acitelli, unica superstite delle Suore, testimone oculare di tali barbarie, ho sempre vive nel pensiero e,nel cuore le immagini dei martiri rimasti trucidati, la sofferenza dei superstiti, per i quali non c'erano parole che li potessero consolare se non il sentimento di solidarietà umana e cristiana con il quale ci sentivamo più unite al Mistero della Croce e della sofferenza di tanti fratelli.

Un po' di giorni prima di questa festività, una brutta sera furono uccisi quattro o cinque soldati tedeschi e un ufficiale, nel Circolo ricreativo del paese. Questo insensato gesto seminò panico e spavento in tutto il popolo, che ne prevedeva le conseguenze. Fuggirono tutti nelle campagne; uomini e giovani si nascosero nel bosco vicino.

La mattina dopo i tedeschi salirono a Civitella, andarono per le case portarono nella piazzetta in fondo al paese i pochi uomini rimasti. Fortunatamente trovarono solo pochissimi vecchietti, che non poterono fuggire e li portarono nella suddetta piazzetta, spingendoli e malmenandoli. I tedeschi si guardarono in faccia e con gesti convenzionali fecero capire che le persone trovate erano poche e non qualificate; non eseguirono perciò gli ordini avuti.

Questo si ripeté per due o tre giorni. Una mattina si sentì una voce di donna italiana che invitava a rientrare tutti perché non avrebbero fatto più nulla, non sarebbero più tornati, questo diceva la voce.... Il popolo indugiò qualche giorno, poi non sentendo più rumori e non vedendo più soldati, perché dai loro nascondigli potevano controllare la situazione in paese, pian piano rientrarono tutti e ripresero la vita normale. In realtà sembrava che davvero fossero andati via, non se ne vedeva più uno.

Ma i tradimenti hanno sempre un epilogo doloroso e spesso mortale. Come avvenne la mattina del 29 giugno 1944, festa dei S.S.Pietro Paolo. A Civitella le campane della Chiesa suonavano a festa. Il popolo accorse numeroso per partecipare al Sacrificio Eucaristico e festeggiare i Santi Apostoli. Giunta l'ora della S. Messa il coro della gioventù col canto d'ingresso accoglieva il Sacerdote, vestito dei paramenti liturgici della solennità ricorrente, bianco e oro; si avvicinò all'altare il sacrestano porgendo il secchiello con l'acqua benedetta e intonando: "asperges me ….." fu accompagnato in coro da tutto il popolo. Benedetto l'altare e il popolo, si diede inizio alla S. Messa. Dopo poco Si sentirono fuori della Chiesa passi cadenzati di soldati, spari di mitragliatrici, che misero nel cuore di tutti paura e terrore. Non ricordo preciso a che punto era la S. Messa.

La sign.na Zaira, insegnante del posto, era dietro a noi suore e disse: "corro a casa ad avvertire che ci sono i tedeschi". Il povero Arciprete col viso pallido, ma con voce ferma, anche se emozionato, si volse verso il popolo e ci disse queste precise parole: "facciamo la Comunione in "articulo mortis" e dispensò a tutti l'Eucarestia. Si tolse i paramenti sacri e prima che uscisse il popolo andò alla porta della Chiesa; a poca distanza erano piazzate le mitragliatrici con un plotone di soldati vicino. Disse loro: "lasciate andare il popolo, prendete me al posto di loro. Parole somiglianti a quelle che Gesù pronunciò ai soldati quando andarono a catturarlo nell'orto del Getsemani.La Passione di Cristo che continuamente si ripete in ogni parte del mondo Per i suoi seguaci.

Lo fermarono bruscamente e man mano che le persone uscivano di Chiesa, prendevano tutti gli uomini, alle donne sparavano alle gambe e le lasciavano andare. Così insieme all'Arciprete partì il primo gruppo. Nel secondo c'erano due seminaristi che si trovavano in famiglia. Quando si trovarono ai piedi del povero Arciprete, il seminarista, oggi Don Daniele, invitò il compagno seminarista a scappare, ma questi fermo e pacato rispose: "no, farò la fine dell'Arciprete". E così avvenne.

Daniele prese la strada sotto le case, che porta alla veduta detta "Belvedere", percorrendola tutta a zig-zag, per non essere preso dalla mitragliatrice che un tedesco gli sparava dietro. Per fuggire nei boschi si buttò sotto il muraglione di "Belvedere". Lì lo raggiunse un colpo di mitraglia, ferendolo non gravemente ad un fianco .Perdendo sangue e si trascinò come poté fino ad una casa colonica dove lo soccorsero,tenendolo nascosto, curandolo, e così si salvò. Oggi è un zelante sacerdote, che certamente farà tanto bene alle anime.

Non ancora soddisfatti nel loro odio i tedeschi continuarono dando fuoco a molte case, specie quelle del centro storico, compresa la scuola Materna. Presero Poi molti cadaveri, trascinando li per tutta piazza, li gettarono dentro le case in fiamme. In una di queste case, dopo tante ricerche, si trovò il corpo del povero Arciprete, ma solo il busto con testa e braccia; si riconobbe dal polso dell'abito talare.

Noi suore con alcune persone non uscimmo dalla piazza, ma dalla casa parrocchiale, passando nell'orto della medesima che confinava con la nostra Scuola Materna. Dietro le finestre dei bagni si scorse uno spazio coperto, poco più di un metro, e lì ci nascondemmo, sdraiandoci a bocconi a terra. I tedeschi gridando continuavano a mitragliare brutalmente. I morti furono più di 150. Non si poteva alzare la testa né fare un minimo rumore o pronunciare parole per non essere scoperti dai tedeschi che nella strada sottostante gridavano e sparavano.

Così si stette con il fiato sospeso e con la paura di essere scoperti o bruciati vivi dalle fiamme che uscivano dai finestrini della Scuola Materna, sotto i quali eravamo noi, dalle ore 8  circa della mattina fino alle ore 11 o più. Dopo un periodo abbastanza lungo di silenzio si sentì la voce del Presidente dell'Ospedale, che stretto dalla morsa del dolore, piangeva a dirotto portando in collo la sua piccola Vittorina, di circa 5 anni; ripeteva in continuazione: "Maria, la mia Maria •••", che sotto i suoi occhi e quelli dell'unica figlia superstite della sciagura, l'aveva vista insieme alle due sue povere figlie sprofondare fra le voragini del fuoco, senza poter far nulla per salvarle.

Anche il suo fratello Dante rimase vittima di tanta barbarie. Sentendo questa voce pensammo che i tedeschi non c'erano più. Uscimmo cautamente dal nostro nascondiglio e ci dirigemmo verso la piazza. Ma quale desolante spettacolo si presentò ai nostri sguardi. Cosa si provò in quel momento è indescrivibile. I tedeschi non c'erano più ma avevano lasciato una dolorosa scia dietro di loro. Case in fiamme, scricchiolii del fuoco che distruggeva quanto incontrava; ovunque chiazze, tracce di sangue, indumenti anch'essi intrisi di sangue. Allo scricchiolio del fuoco, alle fiamme, si univano le voci che ci portavano l'eco delle vittime,che ci portavano l eco delle vittime che stavano li consumando olocausto della propria vita per la patria, come come i nostri soldati in prima fila. Anche un mio fratello, nel fiore della sua Vita rimase vittima della guerra, lasciando la moglie e due bambini piccoli ancora.

Con il cuore affranto insieme a Suor Angelina e Suor Flora ci dirigemmo verso l'ospedale, supponendo cosa si poteva trovare. Sr. Giacomina si era lasciata a letto malata; i ricoverati, malati e vecchietti, nei rispettivi ambienti, affidati al personale. Così si stette col fiato sospeso e con la paura di essere scoperto.

Per la strada principale che và verso l'ospedale, ci precedeva il sig. Lammioni, Presidente dell'Ospedale, sempre con la sua bimba al Collo. Si arrivò in Piazza Becattini, dove è la sede dell'Ospedale e del Ricovero per gli anziani. La porta di quest'ultimo era spalancata; si guardò dentro ed una scena raccapricciante si presentò al nostro sguardo Per le scale giacevano morti diversi vecchietti del ricovero, intrisi del proprio sangue. Anche il soffitto della scalinata era marcatamente intriso di sangue.

E' impossibile esprimere cosa si provò davanti a questa scena! Mani omicida avevano raggiunto anche loro, i più innocenti fra tutti gli innocenti. Più avanti, a pochi metri, si entrò all'ingresso dell'ospedale Becattini, col cuore stretto dalla paura di trovare altre dolorose sorprese … Ci venne incontro il personale e ci rassicurò che non c'erano altre vittime. Con le lacrime agli occhi si andò in cappellina a ringraziare il Signore. I pochi malati a lunga degenza erano rimasti; i meno gravi e le Madri partorienti erano tornati nelle proprie famiglie. Sr. Giacomina al vederci salve ci abbracciò forte, forte, ma sul suo viso e in quello di tutti c'era tanta paura mal repressa, tristezza e sgomento. Ci si dette da fare a rifocillarli il meglio possibile, incoraggiandoli e assicurandoli che tutto era finito. Magari fosse stato così … ci aspettavano altre sorprese dolorose e pericolose per la vita di tutti.

Il Presidente la sera stessa portò la sua bambina nell'abitazione di campagna. Stette un po' con noi, interessandosi se mancava qualcosa. La Superiora si rese conto e costatò che le provviste erano sufficienti rassicurando il Presidente, il quale andò via piangendo e nessuna parola lo poteva consolare, perché la sua famiglia non c'era più, tolto il piccolo rampollo che portava in collo e per essa, per la sua bambina riprese un po' di coraggio e partì. Qualche giorno dopo, essendoci pericolo anche in campagna, dovette ripartire per Malfiano, dove c'era un istituto di Suore, e lì trovarono conforto ed aiuto morale, per superare la prova, prendendosi cura della bambina.

Il primo di luglio rientrò il Presidente a Civitella, come fece quasi tutto il popolo. Si dettero da fare per individuare i resti dei loro cari congiunti uccisi durante l'eccidio estraendoli con cautela dalle ceneri e macerie delle case incendiate; li sistemavano in tante file nella Chiesa Parrocchiale, coprendoli con lenzuoli. Quello che si trovò del povero Arciprete, come ho detto altrove, fu collocato nella pedana dell'Altare maggiore, sopra a un tappeto e lenzuolo; era lì, di faccia ai suoi parrocchiani come a dire a quel popolo che aveva tanto amato: sono qui ancora insieme a voi, martire per la Patria, come voi … e dal cielo vi benedico ancora, con tutta la mia anima ••••

I parenti ed amici dei caduti cercavano tavole di legno ovunque ma non ne trovavano. Si fece allora avanti il signor Sabatini, che commerciava il legno e mise a disposizione tutto quello che aveva; ma non fu sufficiente; come meglio poterono allestirono le bare affrettandosi a portarle al cimitero.

Altri non fecero in tempo a dare come loro una 'sepoltura ai loro congiunti. Il cannone in lontananza annunciava la vicina battaglia. A questo punto fecero una gran fossa comune e li seppellirono provvisoriamente.

Intanto urgeva una disinfestazione generale. La Chiesa e il centro storico erano in condizioni allarmanti; da un momento all'altro poteva scoppiare qualche pestifera ,malattia. Il medico sanitario venne sul posto dopo l'eccidio, costatando questo pericolo mandò a prendere in fretta un disinfettante adeguato al caso. Mi procurai un grembio bianco, mobilitai ragazzi e ragazze che erano nelle strade e in piazza, che accorsero subito portando, per riempirli di disinfettante innaffiatoio per spargerlo ovunque. Si cominciò dalla Chiesa prima che togliessero le salme, poi la piazza, tutto il centro storico, fino all'ospedale; disinfettando bene anche le scale del Ricovero, dove avevano ammazzato anche i nostri vecchietti.

Di li si proseguì per tutte le strade, stradine e piazzette della cittadina.

I tedeschi erano in ritirata, fuggendo verso il nord.

Tutto ci sembrava finito, quando si sentirono raffiche di mitragliatrici. Stavano setacciando il bosco vicino: "Selva Grossa", dove erano nascosti molti uomini di Civitella. Li trovarono ne raccolsero una decina, e sullo stesso luogo di "Selva Grossa" fecero scavare una grande fossa col pretesto di fare trincee. Finita la fossa,li fecero scendere dentro, mitragliandoli tutti. Questo avvenne l'8 luglio.

Sr. Angelina, sentendo la responsabilità tutta su di lei, si partì con una dipendente dell' ospedale ed andò a'richiamare il Presidente Lammioni, perché venisse a condividere queste responsabilità. Credo però che non l'abbia mai trovato, anche perché, sentendo imminente un altro pericolo nei pressi di Civitella, si era spostato a Malfiano. Mentre lei andava  e veniva infuriò una terribile battaglia. Passò i due fronti, quello inglese, che si era stabilito in Val di Chiana e quello tedesco a Civitella che diventò bersaglio di cannonate, come si presenta tuttora la Torre medievale forata da parte a parte.

Un soldato tedesco in ritirata ci venne a chiedere acqua per bere e, a modo suo, ci fece capire che era vicina una aspra battaglia; se avevamo fondi di scendere tutti lì. Per una scaletta di legno, fragile e stretta, si scese tutti nel lavatoio, ove c'erano due vasche grandi per lavare e poco spazio libero. Per Sr. Giacomina, che era malata, e per i ricoverati più gravi, si scesero materasse dell'ospedale, per tutti gli altri si sparsero in terra frasche di legna, trovata nella stanza buia.

A questo trasloco era presente anche il Presidente Sign. Lammioni, che nel frattempo era tornato, degnissima persona, profondamente cristiano praticante, come tutta la sua famiglia.

Nella Cappellina dell' ospedale era rimasto solo il Tabernacolo con Gesù Eucaristico dentro. A lui si chiese di portarlo insieme a noi nei fondi; e così fece. Non c'era un ambiente adatto né ceri accesi, mai i cuori delle persone giacenti lì sotto erano tante lampade palpitanti che l'accoglievano. Non avendo miglior luogo, con tanta gioia e amore, si collocò vicino ad una vasca, adorandolo e pregandolo, giorno e notte, con la testa appoggiata al Tabernacolo affinché salvasse noi e tutti da ogni pericolo. Con lui i giorni trascorrevano più sereni,ci donava fiducia e sicurezza; non si aveva più paura.

Anche se tutte le notti, nell' andare a fare il cambio di guardia alle sentinelle tedesche,arroccate nella torre, spalancandoci la porta ci spaventavano, sì, però si rimaneva sereni, perché c'era Lui che vegliava su di noi. Questa triste ed insieme meravigliosa esperienza dell'amore di Dio verso le sue creature, è sempre viva nel mio cuore,.e ricordandomene non posso fare a meno di ringraziarLo.

Appena finito il trasloco infuriò una grande battaglia, rimanendo grandemente danneggiate la facciata e il camerone dell'ospedale; nel reparto delle Suore: la guardaroba, il salotto e la Cappella. Attigua al lavatoio c'era una stanza abbastanza grande, ma buia e senza porta. Era piena di lignite e di carbone e qui mi rifugiavo qualche notte per vedere di riposare un po'. Era con noi il personale dell'ospedale: due donne. Dopo qualche giorno la Superiora Sr. Angelina tornò, insieme alla signora che l'aveva accompagnata la prima volta a cercare il Presidente, passando il fronte inglese e poi quello tedesco. Tornando a Civitella, vedendo i danni fatti, entrò all'ospedale e vedendo solo macerie e non sentendo voci umane pensò che fossimo sfollate o morte, uscì fuori piangendo dirottamente. Là incontrò i tedeschi che, con la mitraglia spianata l'accompagnarono fuori del paese. Si diresse verso Oliveto, piccolo paese; per la strada le dissero che le Suore è i malati li avevano ammazzati i tedeschi e che avevano trovato un abito da Suora. La povera Superiora per il dolore, stanchezza e spavento si ammalò e la portarono all'ospedale di Monte S. Savino. Intanto io rimasi sola nei fondi dell'ospedale con Sr. Giacomina malata e con la carissima Sr. Flora, molto delicata di salute, che però mai lasciò il suo posto di coordinamento delle mense delle due opere e la buona conservazione degli approvvigionamenti dei viveri nelle relative dispense, coadiuvata dalla signora Tonina. Per i malati aveva una delicatezza e premura materna, sempre pronta a cambiare il menù preparato, a qualsiasi richiesta dell'infermiera. Durante la permanenza nei fondi,dai primi di luglio al 16 luglio, essendo i viveri nel piano superiore all'ospedale e, per i continui bombardamenti non potendo rischiare di giorno né di sera, per il coprifuoco, essa cercò il modo di farci mangiare almeno un piatto di minestra al giorno. Ogni tanto la sera si faceva accompagnare da una sinora e tenendo nascosta sotto l ombrello una candela accesa, andava a fare le provviste di pasta, sale, ecc. e nel piccolo spazio dove eravamo si cuoceva e si consumava l 'unico'pasto di tutta la giornata. Pensando a quanti non potevano avere neanche questo, si ringraziava il Signore e si pregava affinché la Provvidenza arrivasse a tutti.

La sera del 15 luglio un tedesco ci portò un coniglio ammazzato e ci disse: domani fare grande festa, cuocerlo e mangiarlo. Questo ci spaventò ancora di più pensando che la notte ci avrebbero uccisi. Come si passò quella lunga notte! Non si sentirono i soldati che andavano a dare cambio alla guardia, c'era un grande silenzio. Con trepidazione si attese che venisse il giorno. Giunta l'alba uscimmo spiando ovunque per vedere se c'erano ancora tedeschi o erano fuggiti. Cominciammo a guardare dal salotto che si erano preparato ed addobbato nella cantina dell'ospedale, non c'era nessuno, ma tanta grazia di Dio ••• prosciutti, insaccati, formaggio, pane bianco ••• Si prese tutto e si portò in fretta nel nostro rifugio. Si andò poi alla Scuola Materna e qui trovammo le due salette imbandite con tovaglie ricamate e con le migliori stoviglie che avevano prese nelle case e avanzi di ogni ben di Dio. Di questo non si toccò nulla, ci bastò la gioia di costatare che i tedeschi questa volta erano andati via davvero. Risalimmo verso la piazza e per la strada centrale del paese, dove c'era tanto odor di vino. Le case non bruciate le avevano saccheggiate; riempivano tante casse, le scendevano alla strada sotto la vallata e con la Gip portavano via tutto. Quello che non fecero in tempo a prendere: botti di vino, olio, ecc. buttarono tutto per le strade. Così prima distrussero l'uomo e poi quanto esso aveva costruito e fatto con tanto amore e sacrifici per la sua famiglia, riducendo il paese in un caos. Costatando tutto questo, il ritorno della popolazione fu terribile, sotto tutti gli aspetti •••• era tutto da rifare, ma l'amarezza più grande era quella di non avere più fianco i propri uomini.

Dalla strada centrale del paese si arrivò a Piazza Becattini. Dirimpetto all'ospedale c'era la casa della signora Menca che lavorava all'ospedale; con essa si entrò per vedere in che condizioni era, ma nulla mancava di essenziale.

Dalla strada attigua alla casa si sentirono rumori di passi cadenzati soldati che salivano verso la piazza. Vedendo noi e indicandoci la facciata bombardata ci dicevano: "Chi avere fatto: bum, bum?" Tremando di paura, non sapendo con chi si parlava, dicemmo tra i denti: "non sapere ••• non sapere •••". Con tono burbero continuarono a chiederci: "dove essere vostre compagne?" Sempre con cenni facemmo capire che erano al di là dell'edificio, dove si fecero accompagnare. Noi avanti, loro dietro formando due file che arrivate all'ospedale lo circondarono. Nel vederci Sr. Flora, Sr. Giacomina e i malati terrorizzati:non aprivano bocca; ci si guardava in faccia aspettando la sorte che ci sarebbe toccata. Rassicurandosi che non c'erano tedeschi, a Un certo punto con visi aperti e sorridenti ci gridarono: "Siamo inglesi venuti a liberarvi." Sorridendo deposero le armi, ci abbracciarono, baciando tutti. Noi non si sapeva più che fare: piangere o ridere … Cominciarono a distribuire sigarette e cioccolata e con buone maniere cercavano di rassicurarci che tutto era finito. Basta guerra Basta uccidere! Accompagnavano i malati seguitando a distribuire sigarette e cioccolate. Si cominciò a riprendere fiato erano davvero i nostri liberatori. Poi portarono all'ospedale viveri e medicinali.

Per i paesani tutto non era ancora finito … I tedeschi, prima di ritirarsi avevano seminato tante mine per la campagna; tutti i giorni aumentava il numero delle vittime, ne morivano ancora molti. A noi suore avevano preso materasse, viveri e utensili di cucina,portando tutto nelle trincee, che avevano fatto nella campagna adiacente. Io insieme a Idina, figlia di Gemma girammo tutte le trincee, trovammo tutto e si riportò a casa.

A questo punto mi sentii in dovere di fare qualcosa per informare i cittadini che finalmente Civitella era libera. Salii all'ultimo piano dove era la nostra camera, presi un lenzuolo dal letto e dalla finestra che dominava la vallata ed i boschi dove erano molti i rifugiati, agitando il lenzuolo, come bandiera bianca, gridai con tutta la voce che avevo: "Ritornate tutti! Siamo liberi, i tedeschi non ci sono più!" ripetendolo in continuazione.

In breve uomini, donne, ragazzi cominciarono ad uscire dai loro nascondigli, si riempirono le strade e molti furono in paese. Ai più lontani volò la notizia e si affrettarono a rientrare; in breve tempo tutti ritornarono, trovando squallore e desolazione. Dei viveri che avevano lasciato in casa non trovarono più nulla. Bisognava darsi da fare, preparare specialmente ai bambini un piatto caldo. All'ospedale il Presidente Lammioni mise a disposizione quanto c'era e Sr.Flora, con la donna di aiuto, prepararono con tanto amore,un piatto caldo per tutti; man mano che potevano venivano a rifocillarsi.

I bambini del paese li riunii tutti nella Scuola Materna per poterli accudire un po' meglio. La signora Cora, addetta alla cottura delle vivande per la scuola materna, insieme a qualche volontario vennero in aiuto. I locali erano completamente vuoti, tutto era stato bruciato.

Riunii dei ragazzi e ragazze di buona volontà che erano in piazza, fra i quali anche l'adolescente seminarista Luciano Giovannetti, oggi Vescovo di Fiesole, e con essi dalle macerie si presero mattoni e,pietre, con le quali si fece una grande base nell'aula. Si continuò a cercare tavole, porte, che messe sulla solida e rustica base fatta, si improvvisò una grande tavola. La cara e indimenticabile Sr. Flora ci mandava puntualmente le vivande cotte, pane, affettato o carne,legumi o verdura, così si continuò la mensa per bambini e grandi. Luciano, insieme ad altri ragazzi e ragazze mi aiutavano a dispensare e a fare mangiare i più piccoli. Dopo i primi giorni da Organizzazioni Assistenziali e dai paesi vicini arrivavano viveri e medicinali. Centro di raccolta era l'ospedale.

E così pian piano si cercò di ritornare alla vita normale, benché nel cuore tutti avevano la piaga della tragedia subita e ci vollero degli anni prima di poter dimenticare, ma non del tutto, quei tristi giorni e di riparare quello che almeno poteva essere ricostruito, non già il vuoto lasciato da tanti cari così spietatamente strappati all'affetto dei pochi rimasti.

Come dimenticare l'atto eroico del Rev. Arciprete Don Alcide Lazzeri?come P. Massimiliano Kolbe, morto a Auschwitz il 14/8/941 e canonizzato nel 1982, offrì spontaneamente la sua vita in cambio di quella del gregge che Dio gli aveva affidato, ma non gli fu concesso, ed insieme al suo gregge~' primo fra tutti i 150 uomini, cadde vittima e martire.

Non credo di osare troppo a dire che l'Arciprete merita di essere annoverato nell'albo dei Pastori eroici della Chiesa, da canonizzare. per la Chiesa infatti e per i suoi figli ha dato con la propria vita si preda testimonianza del suo grande amore a Dio ed ai suoi parrocchiani di Civitella, che racchiude ogni altra virtù.

Suor Maria Pierina Acitelli