Memoria di un Massacro

La mia Giovinezza

Parte prima

(in italiano)

MEMORY OF A MASSACRE 

A QUEEN IN MY OWN LlTTLE KINGDOM

First Part

(English)

 

Civitella della Chiana, il paese di antiche origini medievali arroccato con la sua "torre" sopra una collina, al limitare della pianura della Val di Chiana è stato il luogo della mia infanzia meravigliosa. Sono vissuta lì per 20 anni.

La mia famiglia paterna possedeva una grande vecchia casa, vicino alla chiesa, al centro della vita del paese; ì ricordi dei miei primi anni sono dolcissimi: circondata dal grande affetto dei genitori della nonna degli zii ed anche dai paesani io mi sentivo una regina nel mio piccolo regno.

Forse tutte le infanzie sono felici, ma io credo che la mia avesse un qualcosa in più.

Ricordo con chiarezza tutti i giuochi, da quelli più semplici quando avevo pochi anni, fino a quelli più elaborati della prima adolescenza, giuochi che andavano dal giro-tondo a nascondino  fino ai tentativi di recitazione e drammatizzazione di racconti e novelle.

Ero coadiuvata con entusiasmo in questi giuochi da tutte le  bambine che vivevano vicino a me e godevo della massima libertà in casa mia; i nostri campi d'azione erano le soffitte e  l'orto. Le soffitte, grandissime, ariose, piene di oggetti disparati: dai vecchi mobili, quadri, collezioni di vecchi libri e giornali ed abiti di tutte le fogge costituivano il luogo ideale per i nostri giuochi.

Poi quando la stagione era buona c'era l'orto. Anche l'orto  addossato alle mura del paese, con i suoi bastioni costituiva un  ottimo posto di divertimento.

La vegetazione forniva nascondigli per le nostre fantasiose  battaglie che forse inconsciamente riecheggiavano delle  autentiche guerre di assedio che Civitella aveva dovuto subire durante i secoli.

C'era poi il "colorino" una qualità di uva dal succo di colore rosso vivo che insieme alla farina costituiva la base per i nostri "trucchi. scenici" casalinghi.

Mi ricordo molto vagamente anche di gite in auto con la famiglia.

Nel frattempo io avevo incominciato le Scuole Medie e dovevo stare ad Arezzo durante l'anno scolastico.

Al mio ritorno per le vacanze, mi aspettavano le ciliegie, tante e tante ciliegie che rivedo ancora: rosse, turgide, lucide nei grandi cesti. E l'orto pieno di frutta. E i tramonti dalla parte  della "Trove" e delle colline del Valdarno, e le rondini che avevano nidificato sotto il tetto.

E le passeggiate con le amichette del cuore verso il "campo sportivo" con sosta obbligata alla "girata fresca" dove anche nel colmo del solleone si poteva godere di una grande frescura e del panorama, schermato dagli alti cipressi, della Val di Chiana, oppure verso la fonte della "Selva Grossa" che distribuiva generosamente la sua acqua purissima, luogo ideale per le nostre merendine (due belle fette di pane casalingo con olio e sale, oppure marmellata fatta in casa).

Nei boschi silenziosi si sostava, sedute sopra un masso e si  leggeva un libro, spesso un giallo (mia grande passione da sempre) che era stato accuratamente nascosto per evitare i rimproveri delle famiglie che non volevano che durante le vacanze ci si  stancasse gli occhi con "libri inutili".

La cerchia dei miei affetti nel frattempo si era allargata: erano nate due cuginette gemelle Vittorina e Giuliana ai miei carissimi zii Gigi e Marietta. Mia zia aveva un gran daffare ed io, non appena possibile correvo ad aiutarla.

Ricordo ancora il complicato schema di allattamento semi  artificiale e poi le cerimonie del vestirle e rivestirle. Mia zia, quando le bambine furono un po' più grandicelle me le  affidava volentieri. lo mi pavoneggiavo in paese, ad ogni pochi metri fermata dalle paesane che facevano garbati complimenti alle bambine. Poi insieme ad una mia amichetta andavamo a consumare in qualche delizioso posticino sotto gli alberi la ricca merenda che la zia ci aveva preparato.

Questi ricordi mi si affollano alla mente con tale intensità, con tale chiarezza e doloroso rimpianto che potrei continuare a parlarne ancora per tanto.

Quello stato di serenità, candore, assenza di qualsiasi turbamento od angoscia, fatto di piccole mille gioie, di sensazioni di sicurezza e affetto straordinario sarà irripetibile nella mia vita futura, e ciò è normale, ma rappresenterà senza dubbio il mio piccolo "Paradiso privato", da dove attingere forza nei frangenti più penosi della mia vita.

E che questo mio mondo fosse infranto e calpestato in modo tanto crudele non toglie anzi accresce la dolcezza e lo struggimento del suo ricordo.

La vita del paese che si svolgeva intanto intorno a me era  semplice e serena.

Civitella è stato sempre un paese povero, per mancanza di ogni
forma di industrie e commercio, data la sua posizione isolata e le non facili vie di comunicazioni. Ma i suoi abitanti, anche se quasi sempre poveri, erano molto dignitosi, educati e rispettosi, mai servili.

Le donne, laboriosissime, non perdevano un minuto del loro tempo sempre in faccende per la casa, l'orto, gli animali da cortile che tenevano in abbondanza. Andavano lontano a procurarsi l'erba per questi animali e tornavano in paese con enormi fasci nelle spalle sotto cui quasi scomparivano. Lo stesso per la legna con cui scaldarsi in inverno e accendere i forni per il pane che ognuno faceva in casa propria una volta la settimana. Poi c'erano i bucati, da lavare lontano dal paese, dove l'acqua è stata sempre scarsa e poi tutto il resto.

Ho sempre pensato che le donne fossero le grandi protagoniste della vita del paese, dove vigeva una specie di matriarcato. Le campane davano il ritmo allo svolgersi della giornata,  cominciando dalla mattina presto con l'annunzio della prima messa a mezzogiorno il segnale del pranzo, verso l'imbrunire per le "funzioni della sera" e l'Ave Maria che concludeva la giornata.

La domenica e nelle grandi festività religiose lo scampanio si faceva più solenne, più gioioso, accompagnava le tre messe  mattutine e le funzioni serali e una volta al mese la processione  intorno al paese. La Settimana Santa, poi esercitava una tale  attrazione che io trascorrevo intere giornate in chiesa.

Si cominciava a preparare i vasetti per adornare il Santo Sepolcro, con chicchi di cereali tenuti al buio, durante la loro crescita per farli diventare biancastri e diafani. C'erano poi tutte le cerimonie: il Giovedì Santo le campane venivano legate e i chierichetti andavano in giro per il paese ad annunziare gli  avvenimenti religiosi con il suono stridulo di un apposito strumento. Il Venerdì Santo tutte le immagini Sacre venivano coperte con drappi viola e i paramenti del Sacerdote erano neri. Di notte si faceva la suggestiva processione del "Gesù Morto", fino al Camposanto con l'accompagnamento di tutto il paese. La lunga fila si snodava per la strada piena di curve punteggiata dal fioco lume delle torce.

E infine il Sabato Santo a mezzogiorno la resurrezione di Cristo, solare, solenne ricca di promesse e di gioia. lo partecipavo a tutto questo con spirito mistico e commozione profonda, con fede certa e incontaminata.

Le campane, però, suonavano talvolta a martello per avvenimenti luttuosi o anche per allontanare le nuvole tempestose  apportatrici di grandine. Infatti era credenza popolare che il  suono delle campane dissolvesse le nuvole.

In casa mia si cominciava ad essere inquieti alla vista delle nuvole biancastre, mia nonna materna, donna di grande fede e religiosità si angosciava se tardava a venire il suono a martello ed anche gli altri paesani correvano loro stessi a suonare le campane se per caso l'Arciprete o i chierichetti tardavano nel loro compito.

D'altra parte l'economia della zona poggiava sugli scarsi profitti dell'agricoltura che la grandine rischiava di distruggere.

Tornando a narrare qualcosa della vita paesana ricordo le lunghe fila di donne che ad orari stabiliti (per la cronica penuria di acqua) venivano ad attingere acqua dalla "Cisterna" per mezzo di una pompa a mano.

La cisterna era situata proprio di fronte a casa mia ed io potevo osservare le donne con le loro "Mezzine" (brocche" di  rame sempre ben lucidate) che aspettavano il loro turno.

Era un'occasione di vita sociale questa sosta: tutti i fatti del paese erano analizzati e commentati.

Alle donne di Civitella, come a tutta la gente di paese, piaceva scambiarsi la conoscenza degli avvenimenti e le relative opinioni (tutto ciò era poi sintetizzato nella parola "chiacchiere"). Del resto questo era tutto lo svago e il divertimento esistente.

Ma le donne non perdevano tempo per "chiacchiere"; esse si sedevano riunite in gruppetti, ma sempre con il lavoro in grembo,  rammendo, cucito o ricamo che fosse. L'unico momento di "chiacchiere oziose" per così dire, era  d'estate, la sera nella piazza principale, dalle 8, ora in cui tutti avevano finito di cenare le 9,30, ora in cui andavamo a dormire. Tutti si sedevano sui numerosi muretti di pietra e sul "Cisternino", una grande pietra a forma rotonda al centro della piazza.

A queste riunioni partecipavano anche gli uomini e ciò dava un' impronta di allegria con scambi di frizzi e frasi a doppio senso.

Poi scoppiò la guerra.

Non che la vita del paese subisse molti cambiamenti. Alle solite chiacchiere si sostituivano discorsi più seri: chi era stato richiamato alle armi, di chi non si avevano più notizie e si facevano animati commenti ai giornalieri Bollettini di Guerra.

Ma nel complesso la situazione era piuttosto calma, eravamo  coinvolti affettuosamente nei luttuosi avvenimenti della guerra, partecipavamo con dolore alle perdite della nostra Italia, ma tutto questo piuttosto come spettatori.

Noi vivevamo in un luogo sicuro, i bombardamenti non ci minacciavano e neanche la situazione alimentare ci preoccupava. Tutti avevamo olio, grano e vino più che sufficiente, gli orti fornivano tutte le verdure e gli animali da cortile erano in  abbondanza.

lo avevo dovuto sospendere l'Università e mio padre, ufficiale nella "piazza di Grosseto" ci ripeteva che le città erano  pericolose e che dovevamo rimanere in paese.

L'otto di settembre, giorno dell'annuncio dell'armistizio,  Civitella ebbe il suo momento di gioia sfrenata: tutto finito, tutte le minacce allontanate.


La sera si fecero grandi fuochi intorno al paese, in quel momento di euforia tutta la legna messa insieme così faticosamente fu bruciata.

Regnava ovunque un grande ottimismo, nessuno sembrava  rendersi conto che la nostra posizione sarebbe divenuta tanto più  difficile con l'armata tedesca ancora in piena efficienza in mezzo a noi che considerava traditori.

Ma alcune persone compresero questo grande pericolo.

Ricordo che anch'io, piena di entusiasmo, correvo da un falò all'altro, e in mezzo a tante persone che esprimevano  rumorosamente la loro allegria e il loro sollievo, notai un paesano, artigiano di grande intelligenza e capacità che ebbe la sensazione del tragico pericolo incombente.

Manifestava le sue idee a alta voce ed inveiva contro i paesani che erano ciechi e stolti, che non capivano. Nell'enfasi agitava le braccia e nello sfondo delle fiamme dei falò sembrava un non creduto profeta di sventura. Ma la sua preveggenza non lo salvò dalla morte il 29 di giugno.

Poco tempo dopo cominciarono i bombardamenti degli alleati in zone molto vicino ad Arezzo, Castiglion Fiorentino, il ponte del"Palazzone" sulle ferrovie etc.

Noi avevamo imparato a distinguere il rombo cupo dei quadrimotori e si potevano talvolta vedere anche le bombe che cadevano sull'obbiettivo da dove poi si alzavano colonne di fumo.

Erano giorni angoscianti; il paese si stava riempiendo di sfollati da Arezzo e da Firenze; anche in casa mia vennero mia zia, mio zio e il mio nonno materno in cerca di sicurezza e di tranquillità. Mai però la nostra certezza di essere in luogo sicuro venne meno, né la sensazione di essere prediletti dalla sorte fu scalfita.

 

 

 

https://www.presentepassato.it/150_anni/2_Memoria/8sett2_div03-portelli.htm

Non avere colpe non significa non avere responsabilità

14.02.2013 11:58
Non avere colpe non significa non avere responsabilità Alessandro Portelli, Lutto, senso comune, mito e politica nella memoria della strage di Civitella, in Leonardo Paggi (a cura di), Storia e memoria di un massacro ordinario, Manifestolibri, Roma 1996, pp. 90-95   M.C.: Ecco! e lì...