Testimonianza di Vittorina Lammioni

 

Figlia di Marietta e Luigi Lammioni, unica sopravvissuta grazie al coraggio del padre Luigi Lammioni. 

Perirono in quel tragico giorno del 29 Giugno 1044 La madre Marietta di 33 anni e le due sorelline Maria Luigia di 2 anni e la gemella Giuliana di 5 anni.

All epoca dei fatti Vittorina aveva 5 anni.

 

 

29 giugno 1944

Ecco, mi sono svegliata, ritta sul mio lettino mani veloci mi vestono. Mio padre

Luigi entra nella mia cameretta che divido con Giuliana, la mia sorella gemella;
è in maniche di camicia: si sta facendo la barba. La casa è in penombra; passo
davanti al nostro salotto e attraverso la porta aperta, vedo la mia bambola
"bella" su di un divano; la vorrei prendere ma non posso. Di corsa andiamo tutti
in soffitta a nasconderei. Salgo su una scaletta sconnessa con un po' di paura.
Prima sale mio padre, poi io, Giuliana e la mamma Marietta ha in braccio la
piccola Maria Luigia di due anni e mezzo. Seduti per terra nel piccolo soppalco
che prende luce da una feritoia, preghiamo.

La mamma dice «Bambine, a voi Gesù ascolta».

Poi il fumo, il senso di soffocamento e la tosse. Il babbo toglie dal tetto delle

tegole e la luce entra. lo ero seduta per terra, mi alzo sulle ginocchia, non ho

più il senso di soffocamento ne la tosse.

C'è silenzio intorno a me, la mamma non dice nulla, né Giuliana mi tocca, né mi

segue, è lì ferma al suo posto seduta per terra come la mamma e Maria Luigia.
Ora sono sul tetto seduta e so che non mi devo muovere. Giro la testa verso  mio padre ricurvo in direzione del soppalco che chiama a gran voce la mamma.
Non può lasciare una bambina di cinque anni sola sul tetto, per calarsi di nuovo
nel soppalco a vedere cosa sia successo. E' disperato, è indeciso quando
avviene la tragedia: il pavimento del soppalco non regge al fuoco che c'è sotto

e precipita portando con se la mamma, Giuliana e Maria Luigia.

Fumo e fuoco investe il babbo ed io seduta che non piango e penso alla

bambola "bella" non presa, al mio paese Civitella, così diverso visto dall'alto.

Mio padre vuole morire, prendere me e fare un salto nel fuoco. Sono presa in
collo, tenuta sotto il braccio come un pacco e lui cerca la morte. Cammina
sopra il tetto della nostra casa in fiamme, poi passa alla casa accanto. Arriva al
tetto del palazzo comunale dove sono le scuole elementari e dove lui ha il suo
ufficio di impiegato. Rompe il vetro del lucernario e pensa di morire con un
salto di 3 metri con me in collo; ma invano.

Ora siamo nella piazza ed ecco dal sacrato della chiesa viene verso di noi un

soldato; è un tedesco, il primo che io ho visto. Il babbo si ferma e s'inginocchia
davanti a lui, mi mette bene in vista, mi abbraccia e dice «abbiate pietà di questa povera bambina».Il soldato ha pietà, non spara e si allontana. Passiamo sopra ai corpi di tanti uomini uccisi e riconosco lo zio Dante fratello del babbo.
Una mano capre ai miei occhi la vista orrenda di tanti morti. Ci siamo nascosti
nel nostro orto vicino alla mia casa che brucia e io chiedo: «Devo fare pipì e non
so come fare» e lui « falla sulle mutandine» e io «la mamma non vuole».

Lui mi risponde «la mamma non ti dirà più niente».
Ho capito .... e non ho fatto domande.

Ci siamo poi recati alla "Casa di riposo Becattini" dove mio padre è segretario.

Le suore impaurite da tutto quello che è successo e dalla morte di molti

ricoverati da parte dei tedeschi, quando lo hanno visto arrivare con me sola,
chiedono della mamma e delle sorelline. Lui povero babbo è come impazzito:
vuole morire, vuole il veleno, urla, piange.

Una suora mi prende per mano e mi porta via con sé. Ho visto una stanza con

tanti letti bianchi e tante tende bianche. La suora apre un cassetto e prende

una bambola per darmela, io non la voglio ... non posso giocare.

Nel primo pomeriggio abbiamo trovato rifugio in un collegio per orfani diretto
da suore dove già erano arrivati donne e bambini fuggiti dal paese. La notte
nessuno ha potuto dormire perché io ho pianto e urlato e niente mi consola.

Passati alcuni giorni mio padre ha recuperato i corpi carbonizzati della mamma
e di Giuliana. Maria Luigia non è stata trovata: i suoi poveri resti sono rimasti
tra le macerie fumanti della nostra casa. Il babbo con un carretto ha
trasportato i nostri morti al cimitero. Insieme alla due zie vedove, Armida e
Assunta e ai cugini ci siamo recati a Malfiano ospiti dei nostri contadini. La
guerra non era finita e i tedeschi ci hanno fatto prigionieri tenendoci chiusi per
alcuni giorni dentro ad una cantina. Una notte silenziosa un tedesco con un
calcio ha aperto la porta e preso mio padre. lo ero in collo a lui; siamo usciti
fuori. Era una bella notte d'estate ed io ho guardato le stelle, Il tedesco urlava e
teneva la pistola puntata alla gola del babbo ed io stretta a lui tremavo. Poi il
soldato mi ha toccato in modo brusco ed io mi sono ribellata e ho urlato: un
urlo con tutto il fiato che avevo in gola e non riuscivo a smettere di piangere e
urlare.

Il tedesco ha lasciato libero il babbo e si è allontanato. La nostra prigionia è
durata ancora qualche giorno; una mattina all'alba siamo fuggiti: eravamo liberi.

Ho sempre pensato che questo mio pianto di bambina unito alle urla e ai pianti

dei bambini che in tutte le guerre vittime innocenti dell'odio, come Giuliana e

Maria Luigia, sia di merito agli uomini per lottare con impegno a costruire un
mondo di pace.

Mio padre Lammioni Luigi è sopravvissuto per 8 anni: è morto 1-5-1952.

Non mi ha parlato mai della morte della mamma e di tutto quello che è
successo. Quello che ho scritto fa parte dei miei ricordi di bambina di 5 anni.
Subito dopo l'eccidio si è impegnato, essendo un impiegato del comune, di
tutte le necessità di un paese completamente distrutto. Come segretario del
piccolo ricovero si è dedicato con competenza e amore agli anziani e ammalati,
riscuotendo stima e riconoscenza anche dalla suore e dal personale. Ha
ricostruito la nostra casa di Civitella subito dopo la guerra cercando di

recuperare «quello che il fuoco non aveva voluto», come diceva lui. Spesso mi
diceva «Mi hai salvato la vita, se non era per te mi sarei suicidato».

Un grande dolore lo ha accompagnato fino alla sua morte: non aver potuto
salvare la sua adorata moglie e le sue 2 bambine e la morte dei due fratelli
uccisi dai tedeschi.

Ho amato tanto mio padre e sono grata a lui per l'esempio che mi ha dato
nell'affrontare la vita con coraggio, nel fare il proprio dovere, rispettando gli
altri. Tutto questo è accompagnato da una fede profonda in Dio.

Vittoria Lammioni Lucci